mercoledì 14 ottobre 2009

Pago un vecchio debito

foto da qui
Alessandro Baricco

La mia esperienza di lettrice mi ha fatto capire che Baricco è uno di quegli autori che si ama o si odia. Io, questo è ovvio, lo amo.
Non farò finta di essere oggettiva, o di riuscire a vederne i difetti, spiegherò semplicemente perché piace a me.

Il primo libro che ho letto di Baricco è stato Novecento (sì, prima, molto prima che uscisse il film), da lì ho continuato con Oceano Mare, Seta, Castelli di Rabbia, City (ok Ale, ti perdono per averlo scritto), Senza Sangue, Omero, Iliade, L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, Questa Storia, I Barbari. Sono andata a teatro a vedere e sentire Arnoldo Foà che interpretava Novecento, sono corsa al cinema a vedere Lezione 21.

Ho sempre amato i narratori, quegli scrittori cioè che hanno il gusto di raccontare le storie (per lo stesso motivo amo anche la Allende) e trovo che lui sia uno di questi. Con il suo modo talvolta ironico, talvolta sofisticato, ti fa entrare in un mondo, e lì conosci i suoi personaggi che sono così strani che non puoi non innamorartene, perché rappresentano la fragilità umana. Elisewin è la paura che tutti abbiamo di rischiare nella vita, che si può vincere gettandosi nell'amore. Thomas è la rabbia e il desiderio di vendetta che abbiamo provato, incarna tutti i torti che abbiamo subito, e non si salverà se non accetta l'amore che gli viene offerto. Il Sig. Rail è la nostra voglia di sognare senza limiti o barriere, di cambiare il mondo e di rendere possibile l'impossibile. Hélène è la nostra capacità di amare incondizionatamente, dimenticando noi stessi senza che l'altro/a se ne renda conto.

Poi ci sono i suoi giochi linguistici, quel manovrare arbitrariamente parole e punteggiatura che lo ha reso (nel bene e nel male) famoso. Ma ovviamente non è del tutto una sua invenzione, a giocare con la sintassi avevano iniziato molti e molti anni prima. Quello che fa Baricco, però, è quasi una trasposizione musicale sulla pagina scritta. Ed ecco che spuntano pagine "corali", dove si alternano molte voci o addirittura si mescolano fino a non poter più distinguere una dall'altra, o dove ad essere raccontati non sono più gli avvenimenti ma i suoni.

Due parole vanno spese per la sua attività di critico, in particolare di critico musicale. Ne L'anima di Hegel e le mucche del Winsconsin scrive delle cose che sono estremamente moderne per l'epoca della pubblicazione, parla di modernità con la duplice veste di chi la musica l'ha studiata e di chi la fruisce. Smonta luoghi comuni grandi come macigni (vedi quello sul suonare con sentimento) e riesce a dire cose per nulla banali. Poi si può essere d'accordo oppure no, ma questa è un'altra storia.

Sul suo film ho speso numerosi post quando è uscito al cinema, per cui andateveli a ripescare. Basti dire che chi ama i suoi libri amerà anche il suo film, perché si riconosce il tocco e lo stile, e rimane narratore anche dietro la macchina da presa. In più in questo film riesce a infilare molto del suo lavoro di critico: il discorso sui totem e sulla modernità e spettacolarità della musica.

Sono di parte? Certo, ma per mia stessa ammissione. Ho provato a spiegare perchè nutro una sconfinata ammirazione per quest'uomo e il suo lavoro. Lungi da me tentare di portare qualcun altro a vederla allo stesso modo.

giovedì 1 ottobre 2009

a proposito di musica...


Oggi riunione degli insegnanti, per i corsi di musica, e due ore a parlare del futuro dei Conservatori in Italia, ne terranno 20? O solo 2? Ancora non si sa, pendiamo tutti dalle labbra e dalla penna della Gelmini.
Qualcuno più lucido dice che in effetti è vero, da quando i Conservatori erano diventati così tanti ( si parla degli anni '60- '70) la qualità si è decisamente abbassata, qualcun altro dice, vogliamo dare la possibilità di studiare la musica, perché a noi a dato tanto, e vogliamo dia tanto ad altri. Il direttore incalza, vogliamo dare lavoro ai giovani musicisti e allargare l'insegnamento musicale nel territorio.

Io li ascolto, confusa, lo ammetto. Non sono sicura che qualcuno debba per forza darmi la possibilità di lavorare, se non me lo merito, o meglio, non si può pensare che al diploma in Conservatorio debba equivalere un posto di lavoro. Troppo facile, bisogna pretendere qualcosa in più.
Poi, per quanto riguarda l'insegnamento a tutti, io sono per l'accesso a tutti, ma anche perché possa continuare chi ci crede e ne ha le capacità, non proprio tutti. Insomma per intenderci, io ho avuto accesso all'insegnamento della fisica, ma era ben chiaro quando la mia prof mi guardava sconsolata alla lavagna e diceva "si vede che studi eh, ma la fisica proprio non la capisci", era chiaro che non avrei mai potuto far quello tutta la vita. E non l'ho mai preteso.

Poi va detto che ci sono molte cose sbagliate nella riforma dei Conservatori, troppe cose di cui non si sta tenendo conto, troppo favore alle scuole private, e se il risultato finale deve essere che per studiare musica ci vogliono i soldi ( già adesso tra libri e strumenti è abbastanza elitaria la faccenda) non mi può piacere la direzione in cui si sta andando. Ma penso che ci voglia anche un po' di lucidità alle volte, e un po' di discernimento, da tutte le parti.